VERITA' A LAMPI E PER IL RESTO…..CAOS di G. La Grassa
Scrive Oscar Giannino: “….quei parlamentari repubblicani [che hanno votato contro il piano “di salvataggio” Paulson; nota mia] pensano che l’argine allo Stato invadente viene prima di ogni campana d’emergenza…….[la crisi in atto; nota mia] è il segno che l’America dovrà correggere i suoi errori e riscrivere le sue regole, senza per questo buttare a mare 240 anni in cui lo statalismo roosveltiano non è stata regola ma eccezione, riuscita solo grazie a un conflitto mondiale con la sua economia di guerra”.
Il bello è che nelle ultime righe (proprio conclusive dell’articolo) c’era lo scioglimento del rebus; invece Giannino sostiene, nell’intero suo scritto, che in definitiva bisognerebbe lasciar fare al “libero mercato”. Eh no, l’America non ha semplicemente "riscritto le sue regole e corretto i suoi errori" nel dopo 1929, ma ha regolato i conti con i competitori sul piano mondiale intervenendo, con un po’ di ritardo, in quel “bel guerrone” scoppiato dieci anni dopo; e non è uscita in modo definitivo dalla crisi, e successiva stagnazione, semplicemente grazie alla “sua economia di guerra”, ma perché ha vinto militarmente e diviso il mondo con l’Urss, divenendo in campo occidentale il centro del sistema. Anzi, per circa un quindicennio dopo il crollo del “socialismo”, è stata il centro del mondo.
Che cosa si conclude da una corretta “memoria storica”? Che lo “Stato invadente” non riesce a superare la crisi economica con la sua azione diretta specificamente a questa sfera sociale – su tale punto ha ragione Giannino, mentre si rivelano chiare “forzature” (ideologiche, pur se in “salsa scientifica”) quelle raccontate dai “keynesiani” sulla “grande crisi” vinta grazie al New Deal, alla spesa pubblica, ecc. – bensì operando con particolare virulenza nella sfera politica, con la sua “appendice” (si fa per dire) militare. Lo Stato che risolve le situazioni – in ultima analisi, cioè alla resa dei conti – non è tanto quello dell’intervento “pubblico” in campo economico, non è quello sociale, bensì soprattutto lo Stato in senso proprio, quello dei corpi speciali in armi, quello dell’egemonia corazzata di coercizione. Tenendo conto che questi corpi speciali vanno oltre esercito, polizia, ecc. poiché vi sono i vari servizi di intelligence, i corpi specializzati nel raccogliere e nell’inviare informazioni (magari distorte), i corpi diplomatici con le loro più riservate sezioni dedite alla corruzione e alle “discrete” pressioni su partiti e lobbies varie in altri paesi, e via dicendo.
Sia quando le svariate azioni dei diversi corpi speciali sono esercitate all’interno della nazione in caso di conflitti troppo acuti tra dominanti, che minano la loro egemonia e mettono talvolta in moto i dominati di cui diventa allora improrogabile schiacciare eventuali rivolte, sia quando esse vengono condotte all’esterno per decidere della supremazia mondiale dopo un lungo periodo di conflitto policentrico, lo “Stato invadente” in grado di risolvere le situazioni critiche – non sempre ci riesce, è ovvio – è quello dell’esercizio della forza. Del resto, anche le rivoluzioni riuscite hanno sempre avuto bisogno di apparati capaci di agire con forza, con cui attaccare, demolire e riattivare in forme diverse i punti nevralgici del “potere avverso”. Altro che esercitarsi in sciocche ironie sulla “presa del Palazzo d’Inverno”; solo gli “inutili intellettuali” pensano che la supremazia si conquisti con l’egemonia culturale.
Ho messo più sopra “keynesiani” tra virgolette poiché decideranno i conoscitori del grande economista inglese se egli è responsabile delle conclusioni tratte dai suoi seguaci dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, credo sia necessario che tali seguaci ristudino il “Maestro”; così come da tempo propongo di fare nei confronti di Marx, mentre anche in campo marxista ci sono soprattutto sostenitori delle più “ineffabili” deformazioni ideologiche del pensatore di Treviri, sia sul versante economicistico sia su quello umanistico.
La conclusione sopra tratta in merito alle funzioni dello Stato si dirige però anche contro il liberismo stretto, quello del non intervento statale in un qualsiasi campo, perché bisognerebbe lasciar fare al mercato. Lo Stato, nel senso appena chiarito, è invece decisivo. Ovviamente, e per fortuna, siamo ben lontani attualmente da regolamenti di conti militari di carattere generale. E non è detto che anche quando, come prevedo ormai da tempo, si affermerà infine un vero policentrismo o multipolarismo, l’acutizzazione del conflitto debba manifestarsi nelle stesse forme della prima metà del novecento. Una cosa sembra certa: il bipolarismo della seconda metà – proprio per la sua netta asimmetria dato che l’Urss, per i motivi già tratteggiati nel mio ultimo scritto in questo blog, non fu in grado di tenere il passo con gli Usa – era un equilibrio di fatto instabile che comportava comunque scontri violenti solo ai margini dei due “imperi”. Quando invece inizierà il vero policentrismo, con il formarsi di più potenze e il loro sviluppo ineguale, la situazione sarà in ogni caso assai più complicata; e il caos si diffonderà nel cuore dell’area a più alto sviluppo, dalle “periferie” passerà al “centro” del sistema mondiale. La crisi attuale, che pure fa tanta paura e non sarà uno scherzo (né durerà tanto poco), è solo un “assaggio” di quanto si produrrà più avanti, ma comunque in una fase storica che sarà la prosecuzione di quella ormai – credo – già iniziata senza che ce ne accorgessimo.
Ed è tale fase di cui dobbiamo con urgenza analizzare i lineamenti, mentre invece o ci si attarda su quelli della vecchia che è alle spalle oppure si cercano scappatoie in nuove utopie, in “moti dell’anima”, in annunci di catastrofi che ci si illude contribuiscano a stringere tutti gli “uomini di buona volontà” intorno a progetti di cambiamenti del mondo da attuare in serafica cooperazione. Quanto gli uomini siano buoni e solidali nella catastrofe, lo appureremo nei prossimi mesi e anni con questa crisi che accentuerà il disordine e l’approfittarsi banditesco dello stesso, con gravi problemi di “sicurezza” e “ordine pubblico” oltre che con l’incattivimento generato dall’impoverimento (nel mero senso di un peggioramento del tenore di vita già conseguito).
E’ necessario ripensare completamente teoria e prassi della trasformazione, operare al fine di dissolvere gli attuali schieramenti politici e i blocchi sociali per tentare di riaggregarli diversamente; lasciar perdere le utopie e gli “umanismi” ormai dannosissimi e del tutto reazionari in questa fase. Purtroppo, siamo talmente in arretrato che, per il momento, è solo possibile pronunciare quattro contro decisi: contro il liberismo, contro il “keynesismo”, contro l’economicismo, contro l’umanismo. Sgombriamo intanto il campo da queste quattro “cellule cancerogene”, e sforziamoci di costruire il nuovo, in teoria come nella pratica politica.