[Piccola e doverosa aggiunta. Sempre nel medesimo archivio marxista ho trovato un articolo di Marx del 1850, pubblicato nella Neue Rheinische Zeitung. Qui, a proposito della forza con la quale gli Stati Uniti si stavano affacciando sul mondo "civilizzato", preparandosi a diventare una grande potenza mondiale, al pari di quelle già operanti in Europa, Marx dice espressamente che l’unica alternativa che le forze del Vecchio Continente hanno per non farsi ricacciare indietro è quella di modernizzarsi spingendo sull’acceleratore dello sviluppo. Certo, la sua idea è quella di una rivoluzione sociale ma non gli passa minimamente per la testa che debba trattarsi di un cambiamento di tipo pauperistico. Forse qualcuno dei nostri "amici" sottosviluppisti vorrà accusare Marx di filocapitalismo? G.P.]
"L’unica probabilità che hanno i Paesi civilizzati dell’Europa di non cadere nella stessa dipendenza industriale commerciale e politica di Italia, Spagna e Portogallo è di iniziare una rivoluzione sociale che, finchè è in tempo, riesca ad adeguare l’economia alla distribuzione secondo le esigenze della produzione e delle capacità produttive moderne, e permetta lo sviluppo di nuove forze produttive che assicurino la superiorità dell’industria europea, compensando così gli inconvenienti della sua localizzazione geografica"(Marx).
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Tempo addietro, il solito pedante sostenitore dell’ortodossia marxista, degno rappresentante di quell’esercito di zombies identitari che tentano continuamente di addentare i polpacci dei pochi vivi rimasti in giro, era intervenuto contro una citazione di La Grassa. Quest’ultimo aveva osato mettere in dubbio la prospettiva sottoconsumistica, da loro avallata con tanto di rimandi alle teorie da “ingrippamento” sistemico della Luxemburg, riportando un’affermazione di Lenin secondo la quale, a volte, anche le aquile possono volare come galline.
Ciò che però La Grassa voleva ribadire era la fallacità di un approccio teorico vetusto ed in effettuale, qual è quello luxemburgiano, già smentito dai fatti storici. Il capitalismo, e ciò è ormai riconosciuto da quasi tutte le persone di buon senso (tra le quali ovviamente non rientra il nostro interlocutore), ha ampiamente dimostrato di saper andare oltre i suoi stessi limiti o, meglio, oltre quelli che noi, con le nostre analisi, percepiamo come tali.
La Grassa si era, peraltro, limitato a riprendere questa frase di Lenin su Rosa Luxemburg (la quale, caro il mio volgarizzatore, esiste e riporto sotto integralmente) non per offendere qualcuno ma per ribadire che certi dibattiti sono, in una fase come quella da noi vissuta, inutili e fuorvianti e, se non altro, fanno comunque perdere tempo prezioso laddove la storia ha già dato il suo verdetto implacabile.
La canea patologico-fideistica, che di saccenteria deve vivere per alimentare le proprie illusioni, come sempre accade in questi casi, si era precipitata ad invocare le fonti perché, senza di queste, era chiaro che La Grassa barava, con l’unico scopo di gettare discredito su grandi personaggi del marxismo per meglio sostenere le sue “infide” tesi da sviluppo illimitato.
Tanto per dare alla verità la sua dose di pane quotidiano ribadiamo che, se per le teorie sottoconsumistiche il nostro giudizio negativo è definitivo e senza possibilità d’appello, d’altro canto, non siamo affatto peroratori di uno sviluppo senza limiti per il solo gusto di sommergere il mondo di merci (cari lettori disattenti e prevenuti questo è Negri e non La Grassa). Guardiamo però allo sviluppo, in una società come quella attuale, quale elemento indispensabile, se ben orientato, per attivare la spinta alla potenza di una formazione sociale particolare, la quale solo così può pensare di svincolarsi dalla subordinazione o sottomissione ad altre formazioni sociali meglio organizzate di essa.
Il nostro giudizio sulla personalità della Luxemburg resta, dunque, elevatissimo ma non per questo possiamo essere meno impietosi di fronte ad errori interpretativi e di impostazione teorica smentiti dagli eventi e dai continui cambi di passo del mondo.
E con questo, per quanto mi riguarda, chiudo la faccenda.
V.I. Lenin – Pubblicato sulla Pravda n° 87 del 16 aprile 1924 (ripreso da archivio internet dei marxisti)
“Paul Levi vuole aggraziarsi la borghesia – e, conseguentemente, i suoi agenti, la II Internazionale e l’Internazionale due e mezzo – ripubblicando precisamente quegli scritti di Rosa Luxemburg in cui lei era in torto. Noi risponderemo a ciò citando due righe di un buon vecchio scrittore di favole russo: "le aquile possono saltuariamente volare più in basso delle galline, ma le galline non potranno mai salire alle altitudini delle aquile". Rosa Luxemburg sbagliò sulla questione dell’indipendenza della Polonia; sbagliò nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; sbagliò nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; sbagliò nel luglio 1914, quando, con Plekhanov, Vendervelde, Kautsky ed altri, sostenne la causa dell’unità tra bolscevichi e menscevichi; sbagliò; in ciò che scrisse dal carcere nel 1918 (corresse poi la maggior parte di questi errori tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, dopo esser stata rilasciata). Ma a dispetto dei suoi errori lei era – e per noi resta – un’aquila. E i comunisti di tutto il mondo si nutriranno non solo del suo ricordo, ma della sua biografia e di tutti i suoi scritti (nelle pubblicazioni disordinatamente aggiornate dai comunisti tedeschi, solo parzialmente scusabili dalle tremendi perdite subite durante la loro dura battaglia) serviranno da utili manuali nella formazione delle future generazioni di comunisti di tutto il mondo. "Dal 4 agosto 1914 la socialdemocrazia tedesca è stata un fetido cadavere" – questa dichiarazione renderà il nome di Rosa Luxemburg famoso nella storia del movimento proletario internazionale. E, certamente, risalterà nel movimento proletario, fra i mucchi di letame e le galline come Paul Levi, Scheidemann, Kautsky e tutta la confraternita di coloro che schiamazzeranno sugli errori commessi dai più grandi comunisti. A ognuno il suo.”