Viaggio geopolitico: l’Azerbaijan e l’Americadi George Friedman
[Traduzione di Francesco D’Eugenio da: Geopolitical Journey: Azerbaijan and America | Stratfor]*
C’è un posto in cui tre grandi potenze — Russia, Turchia e Persia — si incontrano: il Caucaso. Oggi esse convergono in un paese chiamato Azerbaijan. Questo fatto fa dell’Azerbaijan un campo di battaglia per queste tre grandi potenze, che hanno combattuto l’una con l’altra lungo confini mutevoli per secoli. Fino al 1991 l’Azerbaijan faceva parte dell’Unione Sovietica, come il resto del Caucaso meridionale. Ma quando il confine russo si è spostato a nord, Armenia, Georgia e Azerbaijan furono restituiti alla storia. Delle tre, l’Azerbaijan ha il primato geopolitico di confinare con tutte e tre le grandi potenze regionali.
E’ anche diventato uno dei maggiori produttori di energia. Alla fine del diciannovesimo secolo, metà del petrolio del mondo veniva prodotto in Azerbaijan, i cui giacimenti petroliferi attorno alla capitale Baku furono messi in produzione dai fratelli Nobel, famosi per la dinamite e gli omonimi premi. E’ stato qui che hanno costruito le loro fortune. Ho avuto il piacere di una cena nella loro magione alcuni anni fa, ospite di ufficiali governativi. Qualunque cosa abbiano pensato gli altri in quella elegante dimora, io pensavo a Hitler e alla sua smania di raggiungere Baku e i suoi pozzi, e il fatto che il disastro di Stalingrado era parte del suo tentativo di conquistare l’Azerbaijan e i suoi giacimenti petroliferi. Un tempo l’Azerbaijan era il trofeo degli imperi. Oggi è indipendente e si trova in una posizione pericolosa.
Gli Stati Uniti: una potenza globale adolescente
Sono stato in Azerbaijan diverse volte a partire dal 2008, quando pubblicai il libro I prossimi 100 anni (The Next 100 Years, NdT), dove spiegavo che l’Azerbaijan sarà un punto critico geopolitico per il sistema globale futuro. Ciò ha portato a un invito a visitare l’Azerbaijan e vedere il luogo dove le mie teorie erano centrate. Poiché continuo a ritenere l’Azerbaijan un punto critico sia nella lotta che si sta materializzando attorno al Caucaso che per gli Stati Uniti, continuo a visitarlo e a godere cene interminabili e giri di brindisi che mettono a dura prova il mio fegato. Ma non dimentico mai una cosa: Hitler rischiò tutto per raggiungere Baku e il suo petrolio. Fallì, e la storia di oggi comincia da quel fatto.
Il motivo del mio ultimo viaggio era una conferenza sulle relazioni USA-Azerbaijan. Il numero di coloro che negli Stati Uniti si interessano dell’Azerbaijan è molto piccolo, e la maggior parte si trovava lì, assieme a membri del Congresso, funzionari di stato e un gran numero di Azeri. Rispetto al mio primo incontro con l’Azerbaijan, il numero di persone interessate è considerevolmente aumentato.
Le conferenze su argomenti come questo sono globali. Puoi trovarti a Washington, Singapore o Baku e sembra tutto uguale. Chi fa il mio lavoro incontra le stesse persone diverse volte l’anno. A volte sono loro che hanno qualcosa di nuovo da dire, altre sono io che ho qualcosa di nuovo da dire. Ma di solito non capita. Le persone davvero interessanti sono quelle che non incontri normalmente: luminari, ufficiali governativi, uomini d’affari e altre personalità locali. Nel corso del tempo si crea un gruppo di amici nei paesi che si visitano. E’ da questi che si impara di più. E in Azerbaijan puoi ascoltare le loro aspirazioni a diventare amici degli Stati Uniti e le loro perplessità di fronte all’indifferenza americana.
Questo è un tema ricorrente nei miei viaggi. Sono tutti scontenti degli Stati Uniti per qualcosa che hanno fatto o non fatto. In ambo i casi, si sentono scaricati dagli Stati Uniti, ed io ne ho in qualche modo colpa. In generale io rendo la pariglia nelle discussioni. Ma nel caso dell’Azerbaijan, sono sulla difensiva. Si sentono trascurati dagli Stati Uniti, e lo sono. Non si tratta di sentimenti. Le nazioni non hanno amici e a prescindere dalle mie amicizie in Azerbaijan — amicizie che reputo sincere ed importanti — gli Stati Uniti devono perseguire i loro interessi. Il problema nel formulare una risposta è che io ritengo che collaborare con l’Azerbaijan favorisca gli interessi americani e che tirarsi indietro comporti rischi inutili. Non amo criticare il mio paese mentre mi trovo in un altro paese, perciò cerco sempre di deviare la discussione su qualcos’altro. Funziona molto di rado.
Il mio interesse personale per l’Azerbaijan richiede spiegazioni più approfondite. Ne I prossimi 100 anni ho predetto una quantità di eventi, a cominciare dal grave indebolimento dell’Unione Europea e la crescita per converso della potenza della Russia. La Russia aveva i suoi problemi, ma tra la dipendenza europea dall’energia russa e il fatto che questa avesse il denaro per comprare società in Europa, il declino dell’Europa ha portato a una Russia più forte. I paesi che sentiranno questo accresciuto potere sono quelli ai confini dell’ex Unione Sovietica — una linea che va dalla Polonia alla Turchia, e dalla Turchia all’Azerbaijan, l’ancora orientale dell’Europa nel Mar Caspio.
Ho scritto che gli Stati Uniti, ritirandosi dalle loro guerre nel mondo islamico, sarebbero diventati sempre più prudenti e indecisi. Gli Stati Uniti avrebbero continuato a essere la potenza dominante nel mondo, la migliore economicamente e quella con l’esercito più forte, ma sarebbero rimasti una potenza adolescente priva di lungimiranza ed equilibrio nelle sue azioni. Ho spiegato che gli Stati Uniti non erano diventati la potenza dominante nel mondo fino al 1991, col collasso dell’Unione Sovietica. Fino ad allora gli Stati Uniti avevano diviso il potere ed avevano gareggiato con l’Unione Sovietica in una Guerra Fredda che divenne sovente calda e in cui non era ben chiaro che gli Stati Uniti avrebbero vinto. Tra la Corea, il Vietnam ed altre operazioni meno note, nella Guerra Fredda sono morti quasi 100.000 americani — quasi tanti quanti quelli morti nella Prima Guerra Mondiale — un fatto questo che molte persone ignorano. E quando guardiamo indietro alla Corea ed al Vietnam, è difficile immaginare quel periodo come l’epoca americana.
Gli Stati Uniti vinsero la Guerra Fredda perché i Sovietici si sconfissero da soli. Ma una vittoria è una vittoria e gli Stati Uniti rimasero i soli in campo, entusiasti di trovarsi al vertice parlavano di Nuovo Ordine Mondiale, ma in verità non avevano idea di cosa fare. Per prima cosa pensarono che la guerra fosse stata abolita e che l’unica cosa importante fosse fare soldi. Poi immaginarono che avrebbero passato l’intero secolo a occuparsi dei terroristi islamici. Ora sembra che abbiano deciso che si asterranno da qualsiasi intervento nel mondo – sebbene come ciò sia possibile per un paese che detiene quasi il 25 percento del prodotto interno lordo mondiale e che controlla gli oceani, francamente va oltre le mie capacità di comprensione.
Gli specialisti in politica estera degli USA si dividono in due fazioni. Una è quella dei realisti, che ritengono che gli Stati Uniti debbano perseguire i loro interessi nazionali. Questo punto di vista sembra ragionevole, almeno finché non si domanda loro di definire quali siano gli interessi nazionali americani. L’altro gruppo è quello degli idealisti, che vogliono usare la potenza dell’America per fare il bene, che si tratti di costruire la democrazia o di fermare abusi dei diritti umani. Chiedergli come intendono fare ciò è una buona idea. Di solito la risposta è che bisogna intervenire ma solo per uccidere i malvagi. I quali, come è noto, se ne vanno in giro con dei cartelli identificativi.
Il punto è che gli Stati Uniti sono la superpotenza mondiale ma sbandano da un conflitto all’altro e da un’idea all’altra. Occorre del tempo per capire come usare il proprio potere. I Britannici dovettero perdere l’America prima di farsene un’idea. Gli Stati Uniti sono fortunati. Sono ricchi ed isolati, ed anche se i terroristi possono uccidere qualcuno di noi, non saremo mai occupati come la Francia o la Polonia. Abbiamo tempo per crescere. Questo fatto rende il resto del mondo molto nervoso. A volte gli Stati Uniti compiono azioni inspiegabili. A volte non fanno quel che andrebbe fatto. Quando gli Stati Uniti commettono un errore, sono per lo più altri paesi a soffrirne le conseguenze e ad essere messi in pericolo. Perciò una parte del mondo vorrebbe che gli Stati Uniti sparissero. Non succederà. Altre parti del mondo vorrebbero che gli Stati Uniti si assumessero la responsabilità per la loro sicurezza. Non succederà neanche questo.
L’importanza critica dell’Azerbaijan
Questo ci riporta al tema dell’Azerbaijan. E’ un paese che confina con Russia e Iran. In Russia confina con il Dagestan; in Iran confina la regione azera. La maggior parte degli Azeri vive in Iran, dove costituiscono la minoranza etnica principale nel paese (l’Ayatollah Ali Khamenei è azero). L’Azerbaijan è un paese prevalentemente laico. Si sente minacciato dal terrorismo sciita iraniano e dal terrorismo islamico sunnita nel nord. Negli anni ‘90 l’Azerbaijan ha combattuto una guerra contro l’Armenia — appoggiata dai Russi — in cui ha perso una regione chiamata Nagorno-Karabakh. Oggi truppe russe sono stanziate in Armenia. In Georgia, un governo che sembra avere stretti rapporti con la Russia ha rimpiazzato quello precedente, pro-USA. L’Azerbaijan si trova in una situazione difficile, e la sua posizione tra Russia e Iran la rende critica. In questa regione uno stato musulmano laico ostile sia alla Russia che all’Iran non è poi così comune.
L’Azerbaijan ha anche un’altra virtù strategica dal punto di vista americano: l’energia. La strategia russa è stata quella di mantenere e aumentare la dipendenza energetica europea dalla Russia, secondo la teoria che ciò avrebbe aumentato l’influenza russa e ridotto i rischi per la sicurezza nazionale russa. La seconda fase di questa strategia è stata quella di limitare le alternative per l’Europa, compresa la Turchia. Le complesse tensioni sugli oleodotti e sui gasdotti si possono ridurre al fatto che i Russi non vogliono che gli Europei abbiano a disposizione alcuna fonte di energia di dimensioni significative e fuori dal controllo russo.
E’ negli interessi dell’America cercare di limitare l’influenza russa attorno alla sua periferia, per poter stabilizzare gli stati pro-occidentali in un momento in cui l’Europa è debole e disorganizzata. Ed è negli interessi degli Stati Uniti anche limitare la proiezione del potere iraniano e mantenere una piattaforma per influenzare la popolazione azera dell’Iran. Ma ci sono limiti alla potenza ed agli interessi americani. Essi non possono usare la guerra come prima risposta. Gli Stati Uniti possono appoggiare solo quegli stati che si assumono in prima persona la responsabilità della propria sicurezza nazionale. Gli Stati Uniti non possono essere la sorgente primaria di tale sicurezza.
Ed è questo che rende interessanti le relazioni degli USA con l’Azerbaijan. L’Azerbaijan si colloca strategicamente tra due potenze antagoniste degli Stati Uniti: Russia e Iran. L’Azerbaijan è servito da principale punto di appoggio per i rifornimenti per l’Afghanistan. L’Azerbaijan vuole comprare armi dagli Stati Uniti. Il più delle volte gli Stati Uniti hanno tergiversato su tale richiesta. Gli Azeri si sono allora rivolti agli Israeliani, con cui hanno stretti rapporti.
L’Azerbaijan ha tutte le caratteristiche di un alleato a pieno titolo per gli Americani. Ha una posizione strategica e garantisce sia la possibilità di influenzare gli eventi in Iran che di quella di limitare il potere russo in Europa fornendole un’alternativa energetica, compresa la possibilità di un oleodotto sotto il Mar Caspio diretto verso l’Asia centrale. Data la sua posizione esso ha bisogno di acquistare armi, che è pronto a pagare. Eppure gli Stati Uniti limitano il suo accesso agli armamenti.
Ci sono due ragioni dietro ciò. La prima è la politica etnica degli Stati Uniti. La forte comunità armeno-americana è ostile agli Azeri per via della disputa sulla regione del Nagorno-Karabakh. La lobby azera negli Stati Uniti non è riuscita ad ottenere l’influenza della sua controparte armena. Perciò ci sono pressioni sul Congresso per bloccare l’invio di armamenti, ed anche la nomina degli ambasciatori risulta difficile. La seconda ragione è più importante. I difensori dei diritti umani, compresi quelli nel Dipartimento di Stato, hanno dichiarato che il Governo Azero è violento e corrotto. Perciò si sono opposti alla vendita di armi all’Azerbaijan.
Dalla mia posizione non ho assistito a scene di repressione o corruzione. Questo è un paese che è stato una repubblica sovietica e che ha attraversato un’ondata di privatizzazioni caotiche sfociata in ingiustizie diffuse come negli altri paesi ex-sovietici. E’ anche un paese dove la famiglia e il clan rivestono un’importanza cruciale, perciò qui vige quello che gli occidentali chiamerebbero clientelismo. Una volta un uomo d’affari cinese mi disse di ritenere gli Americani meschini e spregiudicati perché disposti ad assumere un estraneo invece che un familiare meno qualificato. Egli riteneva che stimare il merito più del legame di sangue fosse l’apice dell’immoralità. Io non avrei certo preferito costruire la mia società su tali basi, ma i suoi commenti mi ricordarono che le nostre convinzioni sul modo in cui una società dovrebbe funzionare non sono condivise né ammirate universalmente. Pertanto sono molto più cauto nel giudicare la condotta morale degli altri. Ciò non perché io ritenga la parentela più importante del merito ma perché so che ci sono persone ragionevoli che reputano immorale la mia visione.
In ogni caso, un paese non può passare dall’essere una repubblica sovietica ad avere un’economia senza corruzione in poco più di 20 anni. E in questo arco di tempo non può nemmeno diventare una democrazia liberale perfettamente funzionante, specialmente quando è circondata su tre lati da potenze ostili — Iran, Russia e Armenia. Guardando ai trascorsi delle altre repubbliche ex-sovietiche, l’Azerbaijan non è un paese come gli altri. E’ difficile immaginare con quale altro paese dell’ex Unione Sovietica gli Stati Uniti possano allearsi se l’Azerbaijan fosse off-limits.
Un altro problema è quello che io chiamo la “sindrome da Primavera Araba.” I difensori dei diritti umani danno per scontato che la folla che si oppone a un regime repressivo creerà un governo meno repressivo. Ricordo come nel 1979, quando i manifestanti protestavano contro lo Shah d’Iran, il fatto scontato che egli guidasse un regime repressivo si combinò con le fantasie sulla natura dei manifestanti — essi vennero visti come liberali democratici alla occidentale. Non lo erano affatto, e non si può sostenere da un punto di vista del diritto-umanista che il successo dei manifestanti abbia migliorato i diritti umani in Iran.
Lo stesso si può dire dell’Azerbaijan. Qualunque critica si possa muovere al regime, è difficile pensare che le alternative sarebbero più liberali o offrirebbero maggiore trasparenza. Un’alternativa sponsorizzata dall’Iran sarebbe come l’Iran attuale. Un’alternativa sponsorizzata dalla Russia ricorderebbe la Russia. L’idea che gli Stati Uniti non dovrebbero perseguire i propri interessi strategici, laddove il regime attuale è moralmente superiore alle alternative sostenute da Russia e Iran, è semplicemente perversa. Fa parte dell’immaturità di una potenza globale che è ancora alla ricerca di un orientamento.
L’Azerbaijan non deve interessare agli Stati Uniti per le sue caratteristiche etiche. Esso è importante perché costituisce un cuneo tra Russia e Iran. Qualunque regime rimpiazzi quello attuale sarebbe verosimilmente peggiore in senso morale e potrebbe essere ostile agli Stati Uniti. La perdita del petrolio azero a vantaggio della Russia o dell’Iran aumenterebbe la pressione sulla Turchia ed eliminerebbe le alternative energetiche alla periferia della Russia. Gli Stati Uniti devono adottare una strategia di appoggio precoce e a basso rischio dei propri partner strategici invece che rispondere a crisi impreviste con risposte militari improvvise e spasmodiche. Un Azerbaijan indipendente sarebbe una spina nel fianco della Russia e dell’Iran e una fonte di energia per la Turchia. E l’Azerbaijan pagherebbe denaro sonante per le armi che userebbero soldati azeri e non americani.
Oggi negli Stati Uniti è difficile avere attenzione quando si tratta di problemi apparentemente arcani. Gli Stati Uniti non rispondono se non quando l’arcano si trasforma in urgente. Ho spiegato questo a Baku, e gli Azeri non possono far altro che pazientare. Ma gestire un potere enorme richiede anche tatto nel gestire problemi apparentemente arcani. Per quanto io apprezzi la compagnia e la cucina azere, ciò che è in esame in Azerbaijan è la capacità degli Stati Uniti di creare un quadro stabile per la propria politica estera — un quadro che non sia meramente realista o moralista.
Sia Hitler che Stalin capivano che controllare Baku significava controllare l’Eurasia. La realtà nel mondo energetico è cambiata, ma non al punto che Baku non sia più d’importanza critica. Quando vado a Baku e studio la storia, tutto ciò diventa ovvio. Ma la maggior parte degli Americani non va a Baku né studia la storia. Non ci vuole molto per garantire la sicurezza di un bene prezioso, ma al momento sembra molto difficile spingere gli Stati Uniti a intraprendere qualcosa.
*“Le ripubblicazioni tratte e tradotte dal sito www.stratfor.com, come del resto da altri siti, hanno l’intenzione di fornire materiali che noi giudichiamo interessanti e che pensiamo lo possano essere anche per i nostri lettori. Conflitti&Strategie non supporta necessariamente le idee espresse in tali articoli e può anche essere in disaccordo con essi.”