VIVA VIVA LA REPUBBLICA
Settant’anni fa nasceva la Repubblica italiana con il ben noto referendum, tenuto in un paese che di tutto “non” godeva e soprattutto di autonomia. Nemmeno la presenza del Pci nei governi di unità nazionale (ancora per poco) assicurava un briciolo di “libera scelta”. La “svolta” togliattiana del ’44 (a Salerno), fosse o non fosse dettata dall’Urss, era comunque l’accettazione dell’occupazione “alleata”. L’Inghilterra era favorevole alla vittoria della Monarchia, gli Usa della Repubblica. Mi sembra evidente che vinse il più forte (e di gran lunga; l’Inghilterra, nei fatti, aveva perso come la Francia; gli unici vincitori erano Usa e Urss). Non dico sia certo, sono tuttavia convinto che il risultato sia stato abbondantemente alterato e probabilmente rovesciato. Mi lamento forse di questo? Nemmeno per sogno, ci sarebbe mancato solo che vincesse quella monarchia, che aveva portato al disastro dell’8 settembre con una vigliaccheria unica perfino nella storia dell’Italietta, lasciando tutti allo sbando. Tuttavia, a distanza di settant’anni, finita la sbornia per sembrare vincitori mentre eravamo perdenti, cerchiamo almeno di ricordare che eravamo occupati. Proprio per questo, non sono mai stato in preda ad esaltazione pensando alla nostra “meravigliosa Costituzione”. Fra l’altro, mi ha sempre fatto ridere la dichiarazione che si trattava di una Repubblica fondata sul lavoro. Ma dove? Erano in preda a sogni da sonno profondo? E poi quando mai uno Stato è fondato sul lavoro. Degli impiegati pubblici, no di sicuro. Uno Stato deve essere basato su un solido potere, amministrato da chi vuol fare di quello Stato un paese, una nazione (o come si preferisca chiamarlo), indipendente, capace di avere rapporti il più possibile paritari con tutti gli altri paesi o nazioni. D’accordo, eravamo appena usciti da un’esperienza del tutto avvilente, si intendeva “tirarse su de ‘na costa” (come si dice in veneto). Adesso è passato un più che sufficiente periodo di tempo, e diciamoci la verità. E diciamoci pure che, malgrado tutto, allora non eravamo così servi come da vent’anni in qua; e come mai sotto questo governicchio di “fiorentini e minestrine”, di cui non ci si vergognerà mai abbastanza. E per il momento mi limito a questa misera commemorazione di una misera Repubblica “non autonoma”. Avremo modo altrove e più tardi di riferirci alla “grande riforma” della “meravigliosa Costituzione”.